The Golden Ass
16 Marzo – 10 Maggio / March, 16 – May, 10
The Golden Ass
4 painters from New York
Adam Cvijanovic, Inka Essenhigh, Natalie Frank, Santi Moix
La Blindarte contemporanea è lieta di annunciare The Golden Ass, la mostra che riunisce 4 tra i più interessanti pittori della scena contemporanea newyorkese: Adam Cvijanovic, Inka Essenhingh, Natalie Frank e Santi Moix. La mostra sarà inaugurata Sabato 16 Marzo a partire dalle 18.30 nella galleria di via Caio Duilio 10 a Napoli. Il titolo della mostra è tratto dalla nota Novella di Lucio Apuleio (II secolo d.C.), The Golden Ass, ovvero Le Metamorfosi, opera della letteratura latina, unica testimonianza del romanzo antico in lingua latina. Il soggetto principale del libro è il giovane Lucio che arriva nella città di Hypata in Tessaglia (tradizionalmente terra di maghi), dove la vita è animata da sortilegi di ogni genere.
Qui il protagonista verrà coinvolto in trame sempre più fitte che lo condurranno, a seguito di un esperimento non andato a buon fine, alla metamorfosi in un asino, e a lunghe peripezie per riassumere sembianze umane.
Il titolo The Golden Ass, accuratamente ricercato dagli artisti, sottolinea come il Mito, a volte crudele ed inaspettato, altre volte intriso di giochi, ironie e doppi sensi, sia il tema principale che li accomuna e che visibilmente caratterizza le loro ricerche. In ogni dipinto ciascun artista, come Apuleio nella sua celebre novella, affronta un racconto complesso, misto di realtà e leggenda, denso di mistero, proprio come l’opera letteraria, pronta per essere letta, compresa ed interpretata e per regalare al fruitore-lettore nuove chiavi di lettura del vivere quotidiano.
Traendo ispirazione dalla pittura monumentale rinascimentale, Adam Cvijanovic ha inventato i famosi “portable murales”, cioè affreschi trasportabili che intervengono direttamente sugli spazi architettonici: utilizzando la tecnica del flashe e latex su carta Tyvek, l’artista riesce a ricreare l’effetto del dipinto a parete, per poi rendere possibile il trasporto del wall painting, una volta realizzato.
Affascinato da sempre dai resti e dalle rovine simbolo della decadenza della cultura contemporanea americana, Cvijanovic, seguendo la convinzione del ciclico ripetersi degli eventi nella storia, in questa mostra – come già in precedenza qui a Napoli – si spinge simbolicamente più indietro nel tempo, riproducendo ruderi risalenti all’epoca dell’antica Roma nello stato in cui oggi si trovano. Le rovine sono qui poste in relazione diretta con immagini naturali. Un'isola che sorge dalle acque ricorda la potenza generatrice della natura, la cui forza è in grado di modificare la più imponente e solida delle costruzioni umane.
I campi di papaveri richiamano l’antico mito greco e romano del ciclico ripetersi delle stagioni: Demetra l’antica dea del grano e dell’agricoltura (Cerere per i romani), che negli Inni omerici veniva invocata come la “portatrice delle stagioni”, era rappresentata con in mano fasci di grano e papaveri; per questa ragione veniva anche chiamata la dea dei papaveri, delle cui polveri si faceva uso nei misteri eleusini, a lei dedicati all’inizio delle stagioni primaverile e autunnale. Le rovine, simbolo della caducità delle cose umane, sono al contempo anche l’immagine di ciò che nonostante tutto permane nel tempo.
L’isola che nasce si pone dunque come un segno del cambiamento, che ciclicamente ovunque si determina rendendo ogni cosa transitoria. Infine la potenziale mobilità degli affreschi appare come una scelta in grado di riportare l’attenzione sulla questione temporale e sulla relativa transitorietà delle vicende contemporanee.
I dipinti di Inka Essenhigh raffigurano visioni dipinte popolate di figure in continuo movimento. Sono favole distorte in cui i personaggi che le animano, come archetipi, folletti e natura antropomorfizzata, prendono vita dal paesaggio e raccontano la propria storia: come nel dipinto Diana, dove nella foresta una figura antropomorfa si distacca dagli alberi mostrandosi e narrandoci la propria leggenda. I dipinti, densi di misticismo, respirano, ondulano, trasmettono un senso di continua azione e trasformazione. Nonostante queste opere siano figurative, danno la sensazione di tendere verso l’astrazione. Infatti la Essenhingh, affermando di voler “raccontare storie”, considera in maniera fluida il confine tra figurativo ed astratto, poiché l’elemento astratto è sempre parte “dei buoni dipinti figurativi”.
I suoi dipinti narrano dunque la mitologia degli esseri umani e della cultura contemporanea. L’immagine è intrisa di un senso di narrazione collettiva inconscia e birichina che si mostra in ogni paesaggio, edificio o figura. E mentre lei le racconta, le sue figure mitologiche, catturate durante le ore del crepuscolo, si dibattono per raggiungere “il sentimento di una visione interiore”.
Le storie rappresentate nei dipinti di Natalie Frank appaiono letteralmente e figurativamente piene di tensione: tra piattezza e profondità e tra astrazione e figurazione. Il tema ricorrente nel lavoro della Frank è la trasfigurazione. L’artista dipinge rappresentazioni narrative: i suoi personaggi comunicano tra loro e con lo spettatore, esprimendo relazioni di potere.
Lo spazio tra le figure, che si fonde e si dissolve, definisce la loro coscienza e consapevolezza del mondo che cambia. La Frank “mette in scena” le sue tele, permettendo agli attori stessi di recitare queste storie personali all’interno di un regno del carnevalesco.
“La FRANK è cosa rara nell’arte contemporanea, una virtuosa del pennello. Realizza composizioni operistiche di colore e segni di ogni genere, dalle agili prelibatezze dei reggiseno pieni di fronzoli della figura orante agli arpeggi di rosa nelle sue mani nodose, che contrastano con la durezza dei piani astratti che costruiscono la stanza in cui si trova. Operistico. Si può usare questa parola non solo perché i suoi lavori sono teatrali - come dice lei, grandi e conflittuali, viscerali ed espressivi - ma anche perché l’artista è una fan della forma, di Wagner in particolare. E c’è qualcosa di quei drammi ibridi che soddisfa la sua energia tentacolare. “Il palco è un luogo dove le persone possono provare ruoli diversi e mettere in atto le loro fantasie”, esclama, “È tempo di carnevale”. (from Modern Painters, October, 2012, written by Daniel Kunitz)
La natura che ci circonda è il principale interesse di Santi Moix. Saperla osservare è ciò a cui si dedica da anni, trascorrendo gran parte del tempo a ritrarla, riempiendo di disegni e schizzi i suoi numerosi taccuini. Dalla sua famiglia di origine ha ricevuto la capacità di stare in contatto con la natura, ma sono stati i suoi viaggi e la sua permanenza in Giappone e nell’estremo oriente, dove ha conosciuto le pratiche dei maestri calligrafi, che gli hanno trasmesso la capacità di concentrare nell’istantaneità del gesto tutta l’energia e la libertà della natura.
A questo soggiorno si devono i suoi lavori su carta, che Moix stesso definisce “liquidi”, perché impregnati di saggezza orientale: “Sono liberi, istantanei, il risultato dello stato naturale nel quale sono stati concepiti”. Quando si è così trasferito a New York, dove la natura è circoscritta entro i limiti imposti dall’architettura della metropoli americana, Moix ha compreso di dover utilizzare un linguaggio espressivo contemporaneo che si ponesse come un’estensione libera della natura, una manifestazione di ciò che essa suscita dentro di lui, in un movimento che dall’interno muove verso l’esterno, nella stessa direzione in cui va la natura.
Questo processo di esternazione è realizzato con ironia ed ottimismo: dal ritrarre soggetti in modo figurativo, si passa man mano ad accumulare i dettagli – una linea, una forma, un colore – correggendo e trasformando l’opera in qualcosa di diverso, di altro, di astratto, ma sempre alla ricerca dell’ordine nascosto delle cose. “Voglio sempre che il mio lavoro mi suggerisca i suoi percorsi potenziali. Dipingo e dipingo sulla tela fino a trovare un buco che mi dica dove la circolazione delle idee andrà. Il mio lavoro cerca di riflettere questo mondo interno/esterno che abbiamo” e perché nella nostra vita il più delle volte “le soluzioni ci sono accanto”.
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